Non è facile raccontare un viaggio del genere: tante sono le sensazioni, le immagini, i pensieri di queste due settimane.
Forse è il caso di cominciare dall’inizio…
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Il giorno scelto per la partenza non è un giorno qualunque: oggi è il 1° agosto, festa nazionale svizzera! Non potevamo scegliere giorno più adatto per cominciare questa traversata delle alpi, che si svolge quasi del tutto in territorio elvetico (a parte una piccola deviazione a Livigno).
Arriviamo a Scuol, il punto di partenza del giro, nel tardo pomeriggio; abbiamo un po’ di tempo per gironzolare per il paese, e poi ci godiamo una tipica cena svizzera, a base di carne, con l’immancabile burro alle erbe, e verdura. E’ stranamente caldo, tanto che mangiamo in terrazza; quando comincia a farsi buio notiamo che sulle varie cime delle montagne sono accessi dei fuochi, e più ci guardiamo in giro più ne vediamo. Ecco come festeggiano gli svizzeri… c’e’ anche la banda che suona per il paese, la seguiamo fino a una piazza dove sono radunate moltissime persone (moltissime per essere a Scuol, s’intende), con vendita di panini con bratwurst e vari dolci molto invitanti.
Ci troviamo con Federico e moglie, da bravi italiani facciamo casino mentre intorno tutti tacciono: stanno ascoltando in silenzio il discorso (in grigionese) delle autorità del posto…
Arriva il momento di preparasi per andare a nanna, ed ecco la sorpresa: abbiamo dimenticato a casa la valigia con i vestiti da bici!!! Che fare? Tornare a casa, recuperare la valigia e tornare qui? Vorrebbe dire fare 6 ore di auto, e partire per il giro dormendo qualche ora, non un bel modo per cominciare… visto che le previsioni per i prossimi giorni non sono molto invitanti, decidiamo a malincuore di tornare a casa e ripartire tra due giorni, alla fine è la cosa più logica; la falsa partenza ci permetterà di evitare gli unici giorni di brutto tempo di tutto agosto, ma questo ancora non lo sapevamo.
Si potrebbe pensare che per fare un giro del genere (500 km, 16.000 m di dislivello in 13 tappe) ci vuole allenamento… almeno, così la pensavo io, prima.
Invece, ciò di cui bisogna dotarsi è tanta pazienza.
Certo, ci vuole un po’ di abitudine a pedalare in montagna, e allo stare in sella per tante ore ogni giorno (i ciclisti il callo ce l’hanno lì…); poi però è la pazienza il requisito fondamentale.
Avere pazienza vuol dire riuscire a pedalare (a volte, arrancare) in salita, con pause per prendere il fiato e sistemare la zavorra che abbiamo sulle spalle e sulla bici: alla fine abbiamo deciso di portare tutto con noi, dai ricambi per la bici ai vestiti per la sera. Il mio assetto di viaggio prevede zaino e portapacchi, Gio invece ha preferito caricare lo zaino e portare una borsa piccola sul manubrio: secondo me meglio il portapacchi, che ha retto bene tutto il viaggio facendo ogni tanto anche da sostegno allo zaino per farmi riposare la schiena, ma è questione di gusti.
La pazienza ci vuole anche in discesa, perché bisogna scendere con giudizio, magari a piedi nei tratti più impegnativi, che si potrebbero pure fare in bici divertendosi… con 10 kg in meno e delle gomme più adatte allo scopo!
In fondo è tutta questione di velocità: se la nostra velocità ideale coincide con quella che ci permette il nostro fisico, allora il più è fatto. E poi, che fretta dovremmo avere? Non dobbiamo fare altro che pedalare e salire, e poi scendere, gironzolare qua e là, guardare le mucche, fischiare alle marmotte… e goderci l’incredibile fortuna di un periodo così lungo di bel tempo!
Già, perche’ l’aver pazienza è importante, ma esercitarla con il bel tempo è impresa facile; credo sarebbe ben diverso fare un viaggio del genere con pioggia o temporali.
Noi invece nemmeno un temporale, giusto dieci minuti di pioggia leggera scendendo a Vals, quando ormai eravamo già con la testa alle terme. A raccontarlo sembra incredibile pure a me che l’ho vissuto in prima persona!
Tornando alla pazienza, non l’adoperavamo solo in bici ovviamente, ma anche nella ricerca del posto per dormire, nello smontare i bagagli tutti i pomeriggi per rifarli la mattina dopo, nelle comunicazione con gli indigeni (ostico il tedesco), nell’interpretazione dei menù e nella digestione dei piatti tipici.
La giornata tipo più o meno si svolge così: sveglia alle 7 – 7.30, colazione (rigorosamente in abiti civili, è fondamentale non farla già in vestiti da bici, meglio rimendare il più possibile l’incontro con gli amati-odiati pantaloncini imbottiti), preparazione bagaglio, partenza. Invariabilmente, poco dopo la partenza comincia la salita più dura della giornata, alla faccia di tutte le teorie sul riscaldamento e sulla partenza graduale. Visto che c’e’ poco da fare si sale, sudando, sbuffando, con i muscoli freddi che si lamentano; il paesaggio sempre diverso ci distrae, immagino cosa vorrebbe dire pedalare per ore tra le nuvole, magari con la pioggia e il freddo…
Verso l’ora di pranzo, o poco dopo, riusciamo generalmente a concludere la parte più faticosa, in modo da fare la pausa pranzo con la prospettiva di dover solo scendere (o quasi). La composizione del pranzo è variabile: dopo una partenza con barrette (che schifo) e frutta, decidiamo per una combinazione ben più gratificante (pane e formaggio o salame), con bibita del ciclista (cocacola).
Dopo appropriata pausa, si scende/pedala per un paio d’ore, poi scatta la seconda fase della giornata: ricerca posto letto, breve ripiglio forze, riconoscenza primordiale della città, scelta ristorante e cena, nanna. Tutto ciò con qualche variante ovviamente; in ordine sparso mi vengono in mente:
– Festa di paese a Meiringen, birretta con amici arrampicatori/forumisti.
– Vagabondaggio per gli stand di una gara di mtb a Grindelwald, con cena del ciclista (pasta davvero buona e insalata) e poi birra con amici che casualmente si trovavano la’
– Panico da ricerca posto letto: a Safien Plaz ci salva la proprietaria dell’unico bar del paese (l’unico hotel era chiuso perche’… era domenica!), costringendoci pero’ a cenare alle 17.30 che poi il bar chiudeva. A Grindelwald ci salva, più prevedibilmente, l’ufficio del turismo, trovandoci una camera in un alberghetto a picco sulla città.
– Visita d’obbligo all’UCI a fine viaggio, dove proviamo pure il bel pistino da BMX… e festeggiamo la fine del viaggio con una bourguignonne spettacolare!
Una menzione particolare va alla cucina svizzera, che ci ha permesso, nonostante l’attività fisica, di non perdere nemmeno un etto!
Non c’e’ nulla di leggero, nella cucina svizzera: abbiam provato a prendere solo un’insalatona, trovandoci di fronte un’insalatiera colma di verdure, germogli, pancetta, il tutto ovviamente ricoperto dalla temibile swisssalsina.
Visto che l’insalata delude le nostre aspettative di leggerezza, ci rassegnamo: basta insalata (giusto un piattino come antipasto), e via ai pizokel, ai capuns, ai bratwurst, ai rosti… i rosti, dopo una giorn-ta in bici… cosa volere di più? Rosti e birra, insalatina, un po’ di frutta (e pure qui ci vengono in soccorso gli amici svizzeri, l’ultima razione di calorie arriva via macedonia con panna, a meno di non ricordarsi di chiederla al naturale)… anche se in un momento di nostalgia per l’italica cucina, abbiamo provato pure pasta e pizza.
Per quanto riguarda la colazione, regna incontrastato il birchenmuesli, un’incredibile accozzaglia di yogurt, latte, frutta fresca, mandorle, muesli: crea dipendenza, con la curiosità poi di assaggiarlo ogni volta che lo si trova, perché non c’e’ un birchen uguale all’altro.
E la gente? Di ciclisti-viaggiatori non ne abbiamo praticamente trovati, a parte durante le prime tappe che sono risultate le più affollate… abbiamo trovato albergatori simpatici (il biondo riccioluto di Tschierv, che parlava pure un misto di italiano/grigionese), e altri meno espansivi (la tipa del B&B-rifiugio di Meiringn) e un sacco di giapponesi a Grindelwald, vestiti nei modi piu’ assurdi.
Insomma un’esperienza da fare, meno impegnativa di quello che temevo, anche se gli ultimi giorni abbiamo cominciato a risentire della fatica accumulata… e pensare che è nato tutto un po’ per scherzo, bevendo birra in una locanda (svizzera, ovviamente!).